Ascot, statua equestre per il ragazzo che sorride
Il 21 ottobre, all’ippodromo di Ascot, è stata inaugurata una statua equestre di Lanfranco Dettori alla presenza dello stesso fantino, della Regina Camilla e dei membri delle Greencoats, le giubbe verdi che dal 1744 formano la guardia d’onore cerimoniale della monarchia. Un vero e proprio monumento, alto oltre due metri che rappresenta “il fantino”, non uno qualunque ma il più grande di tutti i tempi, “a ricordo permanente del contributo che Frankie ha dato alle corse britanniche”, come recita il comunicato stampa.
La tradizione della scultura equestre è cosa antica: nasce in età greco-romana per commemorare gli imperatori e con lo stesso intento celebrativo, attraversa la storia dei popoli e arriva fino a noi, nella quotidianità dei nostri giorni, adornando le nostre strade e mettendosi al centro delle nostre piazze. Il registro monumentale si mantiene intatto fino al Novecento inoltrato, con un picco nell’Ottocento, anche se sempre a rischio di banalizzazioni retoriche.
La forza epica ed eroica che era presente nelle statue antiche e moderne va poi perdendosi nel nostro tempo. Oggi si tende a restituire un fedele ritratto di cavallo e cavaliere, ben fatto come mestiere e somiglianza, ma l’esattezza non crea espressione artistica e non ha quell'aura eroica che proietta la figura nel mito.
La storia delle statue di condottieri a cavallo, quindi, è considerevole e nell’arte contemporanea sembra generalmente abbandonare l’intento celebrativo del cavaliere; è raro, inoltre, vedere un’opera del genere ritrarre qualcuno ancora in vita. Eppure, Frankie Dettori è stato celebrato ad Ascot per l’ultima corsa della sua carriera britannica proprio con una statua equestre e per quanto possa apparire insolito vedere qualcuno ai piedi di un bronzo che lo ritrae e non sia neppure la prima opera a lui dedicata (già un murales e un’altra statua che lo rappresenta nel suo celeberrimo salto avevano lo stesso intento), lui stesso non può che meravigliarsi di essere immortalato in una tale opera. Perché, come dicevo, la statua equestre non nasce col solo scopo di celebrare un imperatore (e come Dettori nessuno mai in pista!) ma ha anche quello di consegnarlo al mito, di renderlo eterno, persino “da vivo”.
Il cavallo rappresentato non ha caratteri riconoscibili, è tutti i cavalli che hanno permesso il Magnificent Seven e altre tremila vittorie in Gran Bretagna perché qui non si ricorda un singolo evento, ma qualcuno che ancora non ha eredi.
L’idea di quest’opera nasce diversi anni fa dallo scultore Tristram Lewis che inizialmente ne creò modelli in scala ridotta per poi riprodurne uno di dimensioni monumentali e il risultato finale, quello che è stato inaugurato, somiglia a Frankie al di là di ogni istanza realistica perché se è in Inghilterra che si sviluppa l’idea di quest’opera, è in Italia che il bronzo diventa arte, è qui che l’incantesimo diventa reale, nella Fonderia Art’ù di Firenze.
La sinergia tra la volontà del committente, sua maestà la Regina in persona in questo caso, l’idea dell’artista e la capacità dell’artigiano di renderla concreta, si realizza proprio qui attraverso un contatto costante tra le parti in cui il legame tra l’Italia e l’Inghilterra, che ha influenzato tanto la vita di Dettori, si ricrea nuovamente.
Quando contatto Gaetano Salmista, titolare della Fonderia Art’ù, è nelle sue parole che la creazione di quest’opera diventa una narrazione avvincente che unisce processi creativi moderni, come la scannerizzazione iniziale e la realizzazione di un modello in poliuretano, a quelli tradizionali e antichi, come la fusione a cera persa con cui vengono realizzate le diverse parti che compongono l’opera e che poi vengono sapientemente saldate assieme. È nell’unione di queste parti che formano la figura intera, senza che la linea di giunzione sia percepita, che sta la bravura dell’artigiano.
“Come interviene l’artista in questa fase finale del processo creativo?” chiedo a questo punto a Gaetano che in una pausa dal lavoro mi dedica qualche minuto.
“L’artista, Tristram Lewis, è venuto più volte a Firenze e ha contribuito sia nella realizzazione dei modelli, sia nella finitura conclusiva. Ha posto, non solo l’attenzione sui diversi dettagli come la posizione del fantino e l'anatomia del cavallo, le orecchie, la muscolatura e i finimenti, ma anche sulla valorizzazione di alcune parti nella cesellatura finale come la lucidatura degli zoccoli, dei ferri e la criniera che sono stati ritoccati proprio in sua presenza e seguendo la sua volontà.”
Quest’opera è stata il punto di incontro tra la tradizione della scultura fiorentina e la cultura ippica britannica che coinvolge la società con una passione e partecipazione che non è mai stata presente in Italia.
“Avete partecipato all’inaugurazione della statua ad Ascot? Come le è sembrato Dettori?”
“Sì, è stato emozionante partecipare a questo evento e vedere l’affetto che è riservato a Dettori che appariva commosso. In Inghilterra è davvero osannato e questa statua non può che rendere omaggio a un talento così eccezionale, così come speciale è questo bronzo presente ad Ascot, l’unico monumento equestre con cavallo e fantino assieme”.
Domandarsi se la fama e la straordinarietà di Dettori sia imputabile solo alle vittorie trova una risposta proprio in quest’opera, nella cultura della statua equestre che riservava questo monumento non solo ai grandi condottieri, ma anche a quelli che rimanevano immortali oltre le loro azioni, ai grandi comunicatori, al messaggio che portava la loro vita e quello di Frankie credo sia che: “Non è mai finita!”.
Oltre le Oaks di Epsom e la vittoria delle sette corse del Royal Ascot, ma anche oltre il doping, dopo un incidente aereo, la sua vita sembra sempre dire: “Non è finita!” e anche ora, dopo l’addio alle piste britanniche, non è finita!, con una carriera in America.
Questa è la straordinarietà della vita di Dettori, il messaggio che questa statua porta al di là del contesto ippico e che si adegua a tutte le nostre vite.
Frankie è ancora “il ragazzo che sorride”, grande comunicatore con una vita da romanzo; è già stato scritto tutto su di lui, ma oggi c’è anche un’altra opera che lo racconta, che lo rappresenta oltre ogni somiglianza, ancora più delle parole, ed è nei giardini di Ascot.